O uomo che io me so’ pure sposata mannaggiammè, ma perché se la creatura che abbiamo concepito assieme dice una sera a settimana, to’, diciamo che la frequenza sia pure due sere su sette, “no, io la pasta non la vojo”, perché devi prenderti la testa tra le mani e con voce drammatica levare alti lai che “Ecco, è SEMPRE così, non mangia MAI! ABBIAMO SBAGLIATO TUTTO!”, mentre io ti guardo perplessa e mi chiedo madoveçazzoeri ieri e l’altroieri, per esempio, che s’è spazzolata tutta la minestra e pure la frutta?? Era il tuo avatar quello seduto a tavola con noi? E poi parla per te, ciccio, perché IO non ho sbagliato proprio nulla.

Perché, o uomo che me so’ pure sposata, per te esistono solo il MAI ed il SEMPRE, e possibilmente usati a çazzo per rovinarmi l’umore?? Perché non comprendi il fascino discreto e rasserenante del QUALCHE VOLTA?

Perché non ti rendi conto che c’hai una bambina, una piccola umana, e non un cadetto dell’accademia di West Point, di quelli che gli dai un ordine e lui esegue sempre senza fare pe’ e magari pure prima che tu abbia finito di parlare??? E che ci sarebbe da preoccuparsi se lo fosse, semmai, ma così è una normalissima bambina, ma fatti una chiacchierata con qualche altro genitore, e scoprirai che non t’è toccata un’aliena, anzi forse te n’è toccata una pure piuttosto calmina…

E soprattutto, o uomo che me so’ pure sposata, tu che ti pigli la testa tra le mani con fare drammatico e levi alti lai perché tua figlia una sera non mangia la pasta in bianco (e lo dici tu che non la mangia, dammi cinque minuti che me la lavoro io ammodino e vedrai che la mangia, e tu dirai “eh avevi ragione tu”, ma poi te lo scorderai la prossima volta che succederà) ma il giorno che avrai un problema VERO, ecco, quel giorno, CHE FARAI???

Fine dello sfogo. Buon fine settimana. Dlìn Dlòn.

In diretta dal Bellegnocche Camp di Arezzo the ultimate camp gadget: la ghirlanda natalizia.

bellegnocchecamp-021

Perché io valgo?

novembre 8, 2008

Qualche giorno fa sono andata da un medico, a farmi visitare e possibilmente prescrivere qualcosa per una forma di depressione. Leggera, ma depressione con contorno di varieventuali.

Mentre mi avviavo mi sono accorta che mentalmente mi prefiguravo come avrei potuto spiegargli la mia situazione: sì sto male, dottore, ma non così tanto male da non riuscire a “funzionare” del tutto, infatti sono qui da sola, non mi ci ha dovuto portare nessuno. Insomma, non sono una grande depressa. Che culo, son d’accordo. Però il rovescio della medaglia quando non sei una grande depressa è che ti senti regolarmente dire con le migliori intenzioni “ma sù, basta un po’ di buona volontà, esci, vedi gente, cerca di tenerti occupata, vedrai che passa”. Eccazzo, sono due anni che mi alzo piena di buona volontà esco cerco di vedere gente e tenermi occupata e va sempre peggio! Come se le malattie psichiche dipendessero davvero solo dalla volontà, seeeeeeee magari…

Comunque, tornando a me che mi avvio verso lo studio del medico chiedendomi se mi troverà degna di aiuto farmacologico o mi dirà anche lui di avere un po’ di buona volontà (e per quel che lo pagherò sarà meglio che si trovi una risposta migliore, penso), mi sono accorta anche che il modo in cui mentalmente mi rappresentavo il mio bisogno di aiuto per presentarglielo era a ben vedere distorto in modo anche più sinistro di “basta un poco di buona volontà”.

Nella mia testa mi dicevo che avevo bisogno di aiuto perché ho una figlia, ho una famiglia, e mia figlia e mio marito hanno bisogno, si meritano etc etc…

Eccalla’, mi son detta, ci sei cascata  con tutte le scarpe, nella autosvalutazione sacrificale femminile. Che problema c’è a dire che tu, proprio tu, non hai più voglia di stare male? Che tu, indipendentemente dal fatto che abbia un marito una figlia un gatto, hai bisogno e ti meriti di stare un po’ meglio? Allora se eri sola al mondo potevi pure stianta’?

Già, che problema c’è?

Mi sa che quella curetta mi serve davvero, dottore…

Il contraccolpo del cambio asilo sta arrivando, direi.

Stamattina Sara non è andata all’asilo, aveva effettivamente un po’ di tosse, niente di preoccupante ma ha detto “sono malata” e quindi senza nemmeno bisogno di guardarci per mettersi d’accordo l’abbiamo tenuta a casa.

Pero’ era “strana”, e vabbe’ che potrebbe covare qualcosa, ma insomma era come se cercasse il motivo per scontrarsi con me e Simone…

La mattinata è andata avanti tra tentativi di gestione, di buttarla un po’ sul ridere, e qualche scozzo.

Sono giorni che al mimino accenno che mammina potrebbe avere da fare in futuro e magari assentarsi un paio di giorni sono urli e rifiuto, mammina deve stare con lei. Preoccupante, perché effettivamente io dovro’ assentarmi per tre giorni a breve, cosa che finora è sempre andata liscia, ma così mi dava un po’ pensiero..

Alla fine, all’ora di pranzo complice la stanchezza e la fame scoppia una mezza tragedia di cui non si capisce il motivo. Ed io mi dico ok, ne hai il diritto, ti abbiamo preso dal tuo ambiente e spostato ad un altro da un giorno all’altro, vorrei vede’ che non ne risentissi nemmeno un po’…
Io lo so che mia figlia è una personcina di affetti tenaci, al di là della socievolezza poi in realtà non si affeziona facilmente, ma quando succede sono affetti che durano nel tempo e richiedono costanza anche dall’altra parte…

Così mi metto seduta per terra vicino alla mia cucciola che un po’ frigna un po’ ringhia e non sa bene con chi prendersela, la convinco a venirmi in braccio ed a bere qualche sorso di acqua e fiori di Bach. E parliamo.

Tra di noi funziona così: lei parla poco, a smozzichi, a ringhiate appunto, io allora provo a dar forma ai suoi pensieri e se lei li riconosce mi dice sì… Così inizio: tesoro sei arrabbiata? con mamma? Sei arrabbiata con mamma perché ti ha portato in un altro asilo? E poi si arriva allo scoglio: perché vorresti stare con i tuoi amici dell’altro asilo?
E lei mi dice di sì, e si mette a piangere tra le mie braccia, ed io penso che in fondo non è giusto chiederle di non piangere, di essere coraggiosa, di fare la bimba grande, di non mostrare dolore e dispiacere per questo grande cambiamento nella sua vita. E così me la tengo lì, stretta, come quando era più piccola e ci stava tutta sulla mia pancia, e la lascio sfogare senza dire niente.
Dura poco, in fondo, pochissimo. Poi si alza, prende il bicchiere e finisce di bere l’acqua e va di là da suo padre a mangiare. Leggera, sorridente, così diversa da un attimo prima.
E mentre mangia pane e olio nuovo mi dice mamma, allora se devi andare in quel posto dove i bimbi non possono venire va bene, io sto qui con babbo.

Ieri è arrivato, inaspettato ed insperato, il trasferimento in un nuovo asilo per la Piccola Winx. Quel trasferimento chiesto a maggio, affrontando discussioni ferocissime in casa e l’incomprensione fuori casa di chi per lunga tradizione locale “sta coi frati e zappa l’orto” e si prende quel che uno stitico convento passa. Perché qui l’uso è quello, e nessuno si espone, ci si lagna in privato, ma poi alle riunioni scolastiche… tutti zitti.

Certo, sarebbe stato meglio se il trasferimento fosse arrivato ad inizio anno, ora praticamente da un giorno all’altro c’è da rifare un inserimento, da affrontare l’inevitabile crisetta della Piccola Winx… Ma oggi, mentre ero lì e guardavo il nuovo asilo, gli spazi aperti e ariosi, il laboratorio di ceramica e quello di pittura, il modo allegro ed accogliente della nuova maestra, la gentilezza spontanea dei bambini, quel senso di ordine ma anche di joie de vivre che è delle scuole intelligenti… ecco ho pensato: ora mia figlia avrà una scuola decisamente migliore di prima. Ed io sono proprio contenta di essere una rompicojoni.

E chi si accontenta goda così così.

Kidart

ottobre 22, 2008

La piccola Winx è in piena esplosione di espressività artistico-pittorica. In parole povere: disegna tantissimo. Ed i suoi temi preferiti sono serpenti, meduse e calamari. Già.

Ma tutti sorridenti, eh. E finché mia figlia disegna creature che sorridono, che c’è da preoccuparsi?

Ha disegnato persino me, sorridente. Sì, questa qui sotto nella foto sono io. Mammina, che sorride da un orecchio all’altro e con due braccia spalancate. Mia figlia mi vede così. E se lei mi vede così, vuol dire che nonostante tutto riesco ancora a tenere la testa fuori dalle mierdemobili. E’ già qualcosa, di ‘sti tempi.

IL regalo, non UN regalo. Quello che rimane proverbiale, che verrà ricordato. No, non mi riferisco ai tre giorni a Capri, io e Simone soli, regalo della mi’ mamma santadonna che della vita ha capito tutto (un po’ in ritardo magari ma meglio tardi che mai). Mi ricorderò anche di quello eh, ma qui siamo su un altro livello.

Mi riferisco al regalo che vedete nella foto qui sotto: per i miei primi quarantanni mi hanno regalato non uno, ma ben due scatizzolamerde, detti anche pigiastronzoli. Ma di alto design eh, mica robbetta dell’Ikea!

Visto anche il periodo di mierdemobili che sto allegramente attraversando, direi che è proprio azzeccato 😉

Io quando esce il tema dell’aborto sul forum dovrei alzarmi ed andare a fare una passeggiata all’aria aperta, e tornare solo a sera, e magari dedicarmi alle faccende domestiche. Perché tanto lo so, che piovono stronzate, e qualche volta più che piovere grandinano (e la grandine già non scivola più addosso come le gocce). Mica per cattiveria, è proprio per umano limite. Come quella che racconta la sua esperienza di ragazzina che deve affrontare un aborto, e tutte giustamente ad abbracciarla, e sto per farlo anche io… e che però più sotto persino lei ha il suo bel giudizio da buttare addosso a qualcuna, perché lei ha abortito sì ma ci si è trovata, mica come quella sua conoscente che ha ne ha fatto 4 o 5 aborti, che “schifo infinito” (sic). E a me cascano le braccia. Ecco, io queste classifiche del cazzo, tra povere donne, della serie ci sto male ma c’è chi è più assassina di me, non le sopporto più.
Perché in cima a questa perversa piramide ci so’ quelle che il bimbo se lo sono tenute, menzione speciale se era malato, e poi vengono quelle che hanno abortito ma il bimbo era senza speranze, sempre meno peggio di quelle che il bimbo era “solo” malato. Che comunque possono vantare delle attenuanti su quelle che hanno fatto una vera e propria IVG, con il distinguo che bisogna vedere se ti ci sei trovata senza colpa o se non hai preso precauzioni. Ed in fondo alla scala dell’infamia quelle che ne hanno fatta più di una, di IVG, perché proprio non hanno imparato la dura lezione. Quelle son lì per far sentire tutte le altre meglio, si direbbe.

A me non date attenuanti, grazie, non me ne faccio niente, non mi servono. Non ho nulla di cui debba giustificarmi *con voi*.

Alla fine ne ho parlato un po’ con Simone e mi ha fatto bene, ci siamo ricordati assieme di quella ragazza che mentre io aspettavo per l’ennesima ecografia per vedere se la bambina era ancora viva venne a prendere appuntamento per una IVG. E che entrambi l’avevamo guardata un po’ straniti per questa strana ironia del destino, ma senza odiarla, senza rabbia e senza giudizio, né allora né oggi. Ché c’avevamo altro da pensare, in quel momento, che a farci belli sulla pelle altrui.

Stiamo assistendo, da questa parte dell’oceano, a quel che accade in America: crisi dei mutui subprime, crollo della borsa, tentativi di salvataggio da parte del governo USA.
E non è che stare ad un oceano di distanza ci protegga molto, a quanto pare: la borsa crolla anche qui.

Il fatto è che quello che sta accadendo in USA è dovuto alla famosa deregulation.
Ce l’avete presente? Quel “leviamo i paletti, il mercato deve essere libero”. Sì insomma, liberismo nella sua forma peggiore.

Perché sembra chiaro che questo affidarsi alle leggi del mercato ed alla responsabilità dei singoli, ad un certo punto, non funziona. Il mercato si autoregolerà pure, sì, ma come? Lo stiamo vedendo, come: a botte di crolli in borsa e piacevolezze simili. Ed alla fine chi paga, sono soprattutto le classi che già non ne avrebbero molto di suo, da pagare. Comunque, sempre i pori palle come noi. I costi sociali della deregulation, quando tocca correre ai ripari, alla fine sono alti, altissimi.

Parliamoci chiaro, la responsabilità personale è una cosa bellissima e sacrosanta, ma funziona soprattutto per i campi appunto personali: se mando a putt@ne la mia vita personale alla fin fine l’effetto sarà limitato a me e la mia famiglia. Se mando a putt@ne una ditta con nonsoquanti dipendenti, la cosa cambia. Se poi mando a putt@ne un paese come sta riuscendo a fare Bush, vedete voi.
Insomma, i paletti ci vogliono, eccome se ci vogliono (anche nelle vicende personali, un minimo, ma è un altro lungo discorso)
Perché ripeto, la famosa autoregolazione dei mercati è qualcosa che lascia più morti e feriti che altro.

E quel che mi preoccupa oltre alla situazione USA è che abbiamo un governo all’insegna della deregulation, in Italia. E direi che la crisi in America, ripeto, sta lì a dimostrare come la responsabilità personale in materia di economia e finanza non sia un gran rimedio.
Nel caso dei pesci grandi, per presunzione, per arroganza, per disonestà: ne basta uno per rovinarne molti (avete presente Tanzi?).
Nel caso dei pesci piccoli, per ignoranza dei meccanismi reali del mercato, per vedute corte magari, perché ciascuno vede il suo e pensa di essere il battito d’ali di una farfalla ma metti insieme milioni di farfalle ed eccoti l’uragano dei mutui subprime. Quei poracci dei mutui subprime hanno fatto una cosa che la mancanza di paletti gli permetteva, mica illegale, sarebbe stato in teoria alla loro responsabilità o lungimiranza personale non farla… bè, forse erano meglio du’ paletti in più, *anche per loro* nota bene, che ora perdono la loro casa e so’ i primi a rimetterci.

Io non la vedo molto bene, anche se cerco di leggere oltre gli strilli allarmistici dei giornali. Non la vedo bene, ripeto, perché mi pare che questa lezione che l’america sta dando sulla necessità di paletti qui da noi non ha voglia di impararla nessuno.
Qui siamo ancora al liberismo modello “facciamo il chezz che ci pare”, c’abbiamo un presdelcons che ne è l’incarnazione vivente.
E mi fa inçazzare ‘sta cosa, che alla fine pero’ pagheranno, pagheremo tutti, anche chi è stato responsabile, o perlomeno ci ha provato, ad esserlo.

(l’insonnia non mi rende ottimista)