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Tutto da rifare

luglio 22, 2008

Ho passato più di metà della mia vita a cercare di arrivare a patti con il fatto che al mondo esista quell’oscura scomoda cosa comunemente chiamata cattiveria. Anni a inspirare espirare, a cercare di smussare, di giustificare e comprendere, di spiegarmi cristianamente che in fondo no, molte volte nel quotidiano non si tratta di cattiveria, si tratta di incapacità, son persone che non ci arrivano proprio, che ci vuoi fare? Alla fine ho concluso che spesso chiamiamo cattiveria quel che è solo stupidità, e che forse con questo potevo riconciliarmi con la creazione tutta. 

E invece ho capito che se c’è qualcosa che sopporto ancora meno degli stronzi, sono gli stupidi.

E diciamolo, va…

luglio 20, 2008

Penso di essere una delle persone meno sospettabili di simpatia per il cattolicesimo ed i suoi integralismi, figuriamoci quando si arriva al fanatismo delle minacce di morte.

Eppure a me la sensazione che questo Webster Cook fosse un cojoncello con intenzioni poco oneste non me la leva nessuno. Idem che l’esimio PZ Myers stia facendo finta di non sapere di cosa parla.

Insomma, per me ci stanno facendo una figura di cacca tanto il cattolicesimo quanto l’ateismo, in questa storia (e proprio tutti tutti i torti ad incazzassi i cattolici non ce li hanno, a questo giro)

Timeo Danaos…

luglio 14, 2008

E’ storia recente il riavvicinamento tra la chiesa cattolica ed una parte della chiesa ortodossa:

Molto opportunamente la Rai ha recentemente trasmesso immagini di una concelebrazione con Ratzinger ed il patriarca di Costantinopoli.

Ecco, dovrei pensare che è una gran bella cosa, che si ricompone uno scisma, progredisce l’unità dei credenti etc. etc.

Ed invece no, sono decisamente preoccupata: la chiesa ortodossa è una chiesa reazionaria, tendente all’intromissione politica, al patto col potere, omofoba, misogina, conservatrice, sessuofoba… più della cattolica, che pure per me non scherza.

Quindi un riavvicinamento tra le due per me puo’ significare o che la chiesa ortodossa sta diventando meno fobica e reazionaria, o che la chiesa cattolica sta diventando ancora più reazionaria e fobica.

E dopo la reintroduzione della messa in latino, delle spalle ai fedeli e la politica della famiglia, io accenderei la seconda.

Insomma, la vedo male.

Salvato dalle Alf-acque

luglio 13, 2008

Il link alla discussione originale è questo. Non ho ben capito perché i gestori del sito l’abbiano spostata dal forum di origine ad un altro in cui risulta (paradossalmente) meno in contesto, misteri di Alf..

Sull’adozione da parte di coppie omosessuali (lungo, che ve lo dico a fa’?)

L’obiezione che si muove spesso è “in natura due omosessuali non possono procreare, quindi non devono poter adottare”. Questo riflette il classico tentativo, largamente sfruttato ad esempio dalla chiesa cattolica, di far passare come derivante da “legge naturale” quella che in realtà è un’orientamento del pensiero, qualcosa di culturale insomma. Nel cristianesimo cattolico si ricorre a questo espediente ad esempio quando la Bibbia non dà chiare indicazioni su una materia, finendo così per creare accanto alle leggi divine un preteso “corpus” di leggi naturali che si vogliono anch’esse espressione del volere divino. Cioè: si dice che se Dio ha creato le cose così, questo esprime da parte sua un obbligo implicito a che siano così. Si cerca di far passare per postulati che non devono essere dimostrati cose che in realtà non sono poi così scontate ed automatiche.

Che si tratti di un orientamento culturale e non della pia osservanza di leggi di natura lo dimostra il fatto che in altre situazioni noi ignoriamo o persino guardiamo con raccapriccio ad altrettante possibili “leggi di natura”. Se volessimo assumere il puro dato biologico come dimostrazione di legge di natura (o divina, per chi vuole) che non deve essere infranta, allora dovremmo accettare che una bambina di 10 anni che ha avuto il suo menarca sia pronta per iniziare la propria vita riproduttiva. Eppure una cosa del genere, e le culture (sottolineo la parola culture, perché la cosa ha molto di culturale appunto) in cui questo viene accettato a noi ripugnano.

L’obiezione che due omosessuali non possono procreare viene mossa pensando principalmente alle coppie composte da due uomini. Si tende a lasciarre fuori del campo il fatto che in realtà l’omosessualità non coincide affatto con la sterilità personale (e nemmeno l’eterosessualità è garanzia di fertilità). e che le lesbiche possono procreare, anche se non unendo i loro patrimoni genetici, perché l’essere omosessuali non rende sterili. E’ possibile per una di loro concepire un figlio, mediante inseminazione artificiale o anche con un rapporto sessuale, e poi tirarselo su, e come si dice per chi adotta figli e per chi li concepisce in provetta: i figli sono di chi se li alleva, non di chi li ha concepiti e basta. O questa motivazione virtuosa che viene sempre tirata in ballo appunto per sostenere chi adotta qui non vale? E perché no?
Più sfortunati i partner maschi, perché non hanno la possibilità (attualmente) di portare avanti una gravidanza, ma penso che sia significativo che non è l’omosessualità in senso lato quindi che impedisce di avere figli nella coppia, ma il fatto di essere maschi piuttosto che femmine, cioè non tanto l’orientamento sessuale quanto il sesso di appartenenza.

Altra osservazione, più laica, che viene fatta, è che se madre natura ha deciso che ci siano un padre ed una madre allora vuol dire che così dev’essere, e gli istituti umani devono riprodurre quanto più fedelmente l’ordine naturale.
Si tende secondo me a confondere il concetto di “conveniente” e “adattivo” o “più adatto” che permea gli avvenimenti naturali con il concetto di “buono” (e di conseguenza di “non buono” per cio’ che si differenzia dall’andamento normale, e cosa significhi normale lo vediamo dopo), insomma si confonde l’agire di madre natura, chiamiamolo così, che non ha nessuna categoria morale, con le categorie morali umane.
Se una cosa è più conveniente, madre natura la fa, ma questo non la rende eticamente “buona”. Se una cosa non conviene non la fa, ma questo non la rende eticamente “non buona”. Oltretutto, la soluzione della riproduzione sessuata maschio/femmina è un meccanismo conveniente dal punto di vista genetico, insomma al momento del concepimento, ma nel *dopo*… la sua convenienza è meno stringente quando si arriva al discorso allevamento prole nata. Qui entra largamente in campo la cultura, è innegabile. Ok, è chiaro che nell’età della pietra era conveniente anche avere un componente nerboruto e pompato di testosterone per procacciare il cibo a clavate ed uno più tenero ed attento ai bisogni della prole grazie alla notevole pompata di ormoni femminili, ci si divideva i compiti, ma oggi le condizioni sono mutate e sopravvivono anche i cuccioli di due femmine omosessuali, per esempio. Sulla *necessità* di due genitori di sesso diverso da un punto di vista psicologico penso si possa anche discutere, ma sapendo che in larga misura lo facciamo su basi pregiudiziali, sia da un lato che dall’altro.

Si tende anche a confondere il concetto di “più adattivo” con quello di “assolutamente necessario”, insomma ad assolutizzare il valore di soluzioni che si sono determinate in natura ma che potevano anche essere diverse. I comportamenti in natura non sono univoci (vedi sotto per il discorso poligamìa/monogamìa) e nemmeno fissi ed immutabili, ma si adattano (con qualche sforzo) alle condizioni se queste mutano, e quel che non si adatta sparisce non perché non sia buono e giusto, ma perché non è utile.
Si ragiona in termini di utilità, non di categorie morali, quelle sono una produzione culturale umana, e possono variare da cultura a cultura e soprattutto da tempo a tempo: cose oggi ritenute normali sarebbero state oggetto di disapprovazione e magari anche di durissima punizione un tempo, nella nostra stessa cultura.

Nella realtà umana poi, sono possibili e realizzate cose che vanno *contro* i meccanismi di madre natura, e le cure mediche sono uno di quelli. Vanno contro l’utilissimo meccanismo della selezione naturale… eppure non ci verrebbe mai da considerarle “non buone”.

Per restare in ambito riproduttivo, la poligamìa è un meccanismo largamente adottato da madre natura (anche se non esclusivo, va notato, ci sono specie animali in cui la monogamìa è la regola generale, pur essendo meno numerose) ma nessuna di noi cresciute nella cultura occidentale la sosterrebbe con entusiasmo, specie se il poligamo fosse il proprio marito. Idem per la procreazione con femmine più giovani, anzi siamo pronte a lapidare il marito sessantenne che pianti la moglie coetanea per una ventenne… eppure quel marito in teoria segue una “legge di natura” estremamente adattiva, per la prosecuzione della specie, ma noi non la consideriamo certamente *buona* né *necessaria*. O sì?

Veniamo al punto, secondo me. Quanto sopra sono in un certo senso falsi problemi, cioè manti culturali che mettiamo alla nostra difficoltà nei confronti dell’omosessualità. Difficoltà e rifiuto in certi casi, che affondano le loro radici non nella natura e manco nelle leggi divine, ma nella cultura. Cultura fondata, molto sinteticamente, sull’istituto familiare patriarcale, eterosessuale, e cultura basata sul principio umano-troppo-umano che la maggioranza vince a che gioco vuoi giocare? ovvero per “normale” e poi “sano” viene inteso quel che fanno la maggioranza degli appartenenti al gruppo, e chi di discosta da questa normalità (che viene fatta assurgere a “giusta” per il solo fatto che è numericamente prevalente, ma anche qui l’estensione è piuttosto arbitraria) è per forza da qualche parte “sbagliato”.

In realtà, io credo che nella repulsione dell’adozione da parte di coppie gay giochi il fatto che noi culturalmente percepiamo l’omosessualità come un “peccato”, un’infrazione alla regola divina o sociale, qualcosa che non va proprio bene. Questa concezione puo’ restare, in modo più o meno subdolo, anche nelle persone che magari non hanno una specifica fede, ma comunque sono cresciute in questa cultura, che ne è fortemente impregnata. Siamo una cultura ancora piuttosto omofobica, diciamocelo.

Ora, leggendo diversi commenti ed opinioni, anche delle più possibiliste e moderate, io mi sono chiesta come si sarebbe sentita una persona omosessuale. Perché il meno peggio che possa capitare è qualcosa tipo “meglio una coppia di gay che l’orfanotrofio” ma comunque “meglio una coppia etero che una coppia gay”. Ora, proviamo a pensare cosa significherebbe *per noi* sentirci dire in pratica: guarda, come genitore diciamo che meglio che niente sei, ma comunque sei sempre una seconda scelta”. O se vi facessero capire che potreste far del male a vostro figlio, al suo “corretto sviluppo psicologico”. Come vi sentireste? E tutto questo per qualcosa che siete profondamente, che fa profondamente parte di voi, non un capriccio egoistico per voi. Qualcuno considera che il vostro *essere* è pericoloso e dannoso per *vostro figlio*. Tra parentesi, potrebbero esserci tra di noi anche madri (o padri) omosessuali, senza che noi lo sappiamo (e vista l’opinione generale non è strano che non lo sappiamo, voi fareste outing in mezzo ad opinioni simili su di voi?). Ora, io non nego a nessuno il diritto alle proprie opinioni ed alla loro espressione, volevo solo portare l’attenzione su questo: in effetti, anche le posizioni più moderate del fronte “meglio di no” sono in fondo discriminatorie.

Vorrei sottolineare che io non sto negando a priori che avere due genitori dello stesso sesso possa non essere “uguale” all’averne due di sesso diverso, ma la mia idea è che, tanto per cominciare, dovremmo esaminare degli studi seri sull’argomento, condotti là dove queste adozioni sono praticate da un certo tempo, per capire se problemi nei bambini sono significativamente maggiori che per le coppie etero (sappiamo tutte che i problemi infantili non sono sconosciuti alle famiglie cosiddette normali, anzi..) in modo da non parlare solo per pregiudizi ma su dati reali, e poi che sì, *potrebbe* anche essere diverso ma non per forza “meno buono”.
Come notava Charta, il punto non è assicurarsi che un bambino cresciuto da una coppia gay sarà sicuramente etero, ma che se fosse gay… dov’è il problema? Cioè: pensare che debba per forza essere etero, sperare che cresca etero rivela che in realtà noi percepiamo ancora l’omosessualità come un difetto, una mancanza, un disturbo, una malattia, un peccato, quello che vi pare ma insomma un qualcosa di “inferiore” all’eterosessualità. E questo è fortemente discriminatorio nei confronti di quei genitori omosessuali, e delle persone omosessuali in generale.

Sull’argomentazione che un bimbo adottato viene da una realtà spesso difficile ed ha bisogno/diritto a due genitori/famiglia “quasiperfetti”, insomma al meglio del meglio… ecco, tanto per cominciare, qui torna di nuovo il problema di considerare, sotto sotto, gli omosessuali come esseri umani imperfetti o disturbati in qualcosa. E poi mi viene in mente per associazione il caso di un aspirante genitore adottivo che era stato dichiarato non idoneo perché era non vedente ed alle prese con tutti i problemi anche psicologici che questo comportava in una società di vedenti… Certo, se quell’uomo fosse riuscito a concepire un figlio naturalmente, a nessuno sarebbe venuto in mente di toglierglielo per le stesse motivazioni.. ma intanto era stato dichiarato anche lui una specie di “seconda scelta” per l’adozione…

In realtà, la qualità di una persona come genitore (e non solo) non risiede solo nel fatto di avere un certo apparato genitale e nell’uso che se ne fa, ma nella sua capacità di amare e rispondere alle esigenze, ascoltare, rispettare… Pensiamo davvero che un omosessuale sia meno capace di questo di un eterosessuale?

(ah, l’argomentazione che talvolta esce fuori in contesti simili del “poi i bimbi a scuola li prendono per i fondelli” io non la considero, non perché sottovaluti le sofferenze di un bimbo preso per il kiul dai coetanei, ma perché la considero un comodo paravento che attribuisce ai bimbi quello che in realtà è un problema di discriminazione di cui sono responsabili gli adulti. I bimbi sfottono il diverso, in una certa fase della loro crescita? Be’, c’è stato un tempo non troppo lontano in cui il diverso era il figlio di divorziati, per dire, ma questo non vuol dire che il diritto al divorzio non sia una conquista che andava perseguita. E nel caso, a provocare le sofferenze al bimbo non sono i suoi genitori separati o gay, ma altri, quindi non vedo perché spostare la “colpa” e la responsabilità – di cambiare il proprio comportamento, anche – sui genitori. Che se le prenda chi discrimina, non chi è discriminato, e cerchi di non discriminare più)

Il punto è: noi consideriamo ancora l’omosessualità come un problema, un disturbo. Non come un’orientamento della sessualità pari ad un altro, anche se numericamente meno frequente. Tanto è vero che di fronte ad un omosessuale spesso cerchiamo istintivamente di ipotizzare delle cause, e son sempre cause patologiche (la madre così, il padre cosà, il trauma di questo, la mancanza di quell’altro..) mentre non ci mettiamo mai a chiederci perché noi siamo eterosessuali, o perché lo siano tizia o caio. Siamo eredi di una tradizione cristiano-giudaica (qui sì, ci sta bene il riferimento) che aveva una certa concezione dell’omosessualità come disturbo (dell’ordine del creato, ed i disturbi andavano eliminati per evitare le conseguenze nefaste) che ai tempi nostri si è espressa indossando il camice da medico di Freud. Ma che Freud sia solo, alla fin fine, un orientamento, un insieme di teorie interessantissime e magari utili come schema di lettura, ma in realtà mai dimostrate concretamente… questo ce lo dimentichiamo.

Ho usato il “noi” intenzionalmente qui sopra, mi ci metto io per prima perché sono cresciuta anche io in questa cultura e non mi illudo che, per questa e per altre cose, basti volere per cancellare tutta l’impregnazione culturale appunto che ne ho ricevuto, nel bene e purtroppo anche nel male. Cominciare a rendermene conto è solo il primo passo, ma è necessario perché se penso di esser nata imparata ed arrivata, probabilmente me la sto solo raccontando.
Quello che ho capito, di tutta ‘sta questione, è che ad esempio oggi trovo la tolleranza una forma ancora insoddisfacente per rapportarmi alla questione dell’omosessualità, e dell’adozione da parte di omosessuali. Perché a volte questa tolleranza ha il sapore antipatico della condiscendenza di quella che è in posizione avvantaggiata e più facile. Quello a cui son chiamata (nel mio caso personale, da cristiana) è alla crescita appunto, a capire che non ho nulla da “tollerare” da parte del mio prossimo o prossima omosessuale, ma solo da capire che sono esattamente sul mio stesso piano, che non mancano di nulla. E che semmai è stato un errore a lungo perseverato pensare che fossero in qualche modo mancanti, deficitari. Non è “lodevole” riconoscere questo, era semmai deprecabile non riconoscerlo prima. Riconoscerlo per me è il minimo sindacale di solidarietà umana, non un di più.

Se qualcuno è arrivato fin quì, complimenti. Senno’, pazienza, a me è stato utile leggervi e pensarci un po’ su.

Neeta

P.s. Oggi l’OMS ha finalmente tolto dalla lista delle malattie l’omosessualità (ma prima che ‘st’aura di “malattia” esca dalla mentalità comune ce ne vorrà, purtroppo). Rimangono ancora i disturbi dell’identità di genere, per intendersi quelli che si sentono uomini in un corpo da donna o viceversa.
Le determinanti dell’identità di genere sono diverse: il sesso fenotipico, cioè se hai genitali maschili e femminili, sono una componente importante, ma non la sola. Quanto e come l’avere genitori dello stesso sesso o di sesso opposto concorre? Questo è da determinare, ma sappiamo perlomeno che non sono l’unica determinante, né la principale. (a proposito, come la mettiamo con le madri o i padri single?)
Da notare che quando si parla di “disturbo” in psichiatria una componente importante per determinare se di disturbo si tratta è la percezione personale, cioè se quella persona ci sta male e come, il suo punto di vista. In altre parole, noi tendiamo a pensare che in un bambino che si sente una femmina il disturbo sia costituito dal suo sentirsi femmina, ma in realtà il disturbo, la cosa “che non va” potrebbe essere il fatto che ha un corpo maschile, in altre parole è quello ad essere incongruente (sbagliato?) con la sua natura ed identità, e non l’identità con il corpo.

I rappresentanti della gerarchia cattolica si distinguono per l’abitudine ad un linguaggio colorito ed immaginifico, tanto per colpire meglio sotto la cintura. Per intendersi, cosucce come paragonare l’aborto all’eugenetica nazista. Ed ecco la nuova perla: la decisione di permettere al padre di Eluana Ongaro di non alimentare più il vegetale che era sua figlia sarebbe “necrofila“. Insomma, siamo dei nazisti necrofili, da queste parti, meno male che ci son loro a fare la parte dei buoni.

Io invece non riesco ad immaginare niente di più necrofilo che obbligare un padre a continuare ad amare un cadavere vivente, guarda un po’.